3 Opel nel Sahara - 8 - Dall'Assekrem a Tamanrasset

10-11-2008



Sabato, 26 luglio 1986


La pista per Tam promette male: non ci sono le salite di ieri, ma che fondo!





















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All’altezza della caserma (a 20 km. dal colle) l’auto di Bruno G. crolla! Perde la ruota anteriore sinistra: si è rotto lo snodo sferico.


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Arriva un camion con i soldati, uno di loro si da molto da fare e pare tutto risolto. Partenza, o meglio, tentativo di partenza: alla chiusura della portiera la ruota ricrolla a terra. Desolazione.  


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Ritornano i soldati: il poverino lavora di nuovo come un matto, lega il tutto con una corda (!!).

   

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Come facilmente prevedibile la macchina riesce a fare due metri e la ruota se ne va di nuovo. Bisogna anche inseguirla perché pare voglia abbandonarci: se ne va lungo la discesa, ma per fortuna dopo pochi metri i sassi, che non mancano lungo la  pista, provvedono a fermarla. Tornano i soldati (che forse oggi si divertono un po’). Drastica soluzione. Smontare tutta la sospensione anteriore, staccare lo snodo e portarlo a saldare a Tam.
  
 

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Nell’atmosfera concitata, e anche un po’ demoralizzata, si parte. I due dell’equipaggio della macchina sinistrata restano lì, in mezzo alla pietraia sterminata, che non offre neanche un rifugio adeguato per andare al gabinetto.

“Ci facciamo questi 66 km. e mandiamo su il pezzo saldato. In un battibaleno. Troveremo qualcuno che sale al colle, e sappiamo di poterci fidare.”  Pensiamo. Illusi! Con nostro raccapriccio, la pista si fa terribile, tutta tôle e buchi e pietre. Impieghiamo tre ore per arrivare a Tam. Quel Pic Iharen sembra di raggiungerlo da un momento all’altro e non arriva mai!

 

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Finalmente, a Tam. Il meccanico salderà il pezzo per le 5 del pomeriggio, noi nel frattempo andiamo a comunicare il nostro arrivo alla Dairà. 
 

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 Tutto ok, anche per i due assenti. Andiamo a prenotare una camera al Tahat, albergo che conosciamo bene, dal nostro precedente viaggio nell’Hoggar. Solite stanze senza acqua fino alle 7 di sera!

Alle 5, andando dal meccanico, le cose si mettono male. Buchiamo una gomma in piena città! Che sfiga! Poi, dal meccanico, altra grana. Non vuole prestarci il crik a pantografo, indispensabile per rimontare la sospensione della macchina disastrata. Alla fine accetta una cauzione di 600 D., purchè lo portiamo su noi personalmente e sia di ritorno domani sera. Sfuma così la speranza di mandare su il pezzo senza rifarsi tutta quella pista schifosa. E sfuma pure l’idea di partire la sera stessa: è ormai tardi, e col buio non si potrebbe lavorare.

Ci faremo invece una bella doccia e una dormita al Tahat. Non tutto il male viene per nuocere!




Domenica, 27 luglio 1986


Alle 6,30 sveglia, i due uomini partono. Le donne rimangono a Tam a fare shopping, a spedire i telegrammi e a rilassarsi un po’.

 

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Fino a sera, alle cinque, quando, sedute nella hall del Tahat, vedono i due eroi di ritorno, stravolti ma con buone notizie. Tutto a posto.

 

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I soldati, che praticamente avevano adottato i due derelitti, naufraghi del deserto, fornendo loro il cibo, una fotoelettrica per illuminarli e il sostegno morale, in 5-6 ore di lavoro, con la supervisione dei nostri, hanno risistemato il mollone, il pezzo e tutto. Anche la ruota!!

E poco dopo arrivano gli altri due, per i quali avevamo tanto penato!

 

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Cena al Tahat, poi lungo sonno ristoratore.

Siamo tutti contenti.




 




Lunedì, 28 luglio 1986



E’ il giorno della partenza per la frontiera del Niger. Ancora una volta, affannosi preparativi mattutini: dobbiamo fare scorta d’acqua (sozza e gialla) prima che se ne vada, far fuori gli ultimi dinari, presentarci prima di mezzodì alla dogana che poi chiude. Vai e vieni, sali e scendi, fai il pieno di benzina, vai dal gommista a ritirare le gomme, cerca (invano) il mercato di ieri per comprare l’uva, torna dal gommista che non aveva ancora finito il lavoro, compra le Marlboro, alle 11,30 siamo pronti, ma incontriamo Najib, vecchio amico, e così il programa si modifica: andiamo a pranzo con lui, poi a casa sua a bere il caffè.

   

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Oltre al caffè ci dobbiamo sorbire centinaia di fotografie. Ma finalmente, carichi come asini di acqua e benzina, con le auto tutte tacunà (rattoppate), baldanzosamente lasciamo Tam verso le 16.

Un segnale ci ricorda: Ain Guezzam km. 400.


   

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I primi 65 km. sono asfaltati, poi comincia la tôle ondulée. Ci fermiamo per la notte al km. 270 sotto una grande acacia. Altra nostra foratura, da fermi. Le spine delle acacie sono tremende.
  


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Dormito poco: sulla pista vicina passano molti fari, nella notte.


....................... continua ...........................



Fiori di cactus: il più grande, il più piccolo

26-05-2009


Ieri nella mia collezione di cactus c'è stato un avvenimento speciale: sono sbocciati contemporaneamente il fiore più grande e quello più piccolo.
La Frailea angelesii, piccolo cactus dalle dimesioni veramente lillipuziane (2 cm. di diametro e di altezza), inaspettatamente è fiorito, d'un fiore piccolo ma prepotente, con il suo giallo brillante.

Frailea angelesii


A fianco l'Echinopsis subdenudata si è esibita anch'essa col suo fiore candido, grande, svettante sul lungo tubo. Esuberante, ma effimero. Soltanto un giorno è concesso a questo fiore per esprimere la sua bellezza!   



Echinopsis subdenudata

Echinopsis subdenudata


(foto di Alfio Cioffi)

3 Opel nel Sahara - 9 - Persi nel deserto

22-11-2008


Martedì 29 luglio 1986


Sveglia di buon ora (5,30) e partenza alle 6,30 in una uggiosa giornata piena di foschia: ricordi di Val Padana.


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Subito ricomincia quella tôle maledetta. Senza ammortizzatori, come ormai siamo, è tremenda! Preoccupazione di scassare tutto nei salti. Poco dopo, accendendo i fari, scoperta di un nuovo guaio: l’alternatore non ricarica più. Breve e mirato l’intervento di Alfio, promosso sul campo al rango di meccanico della compagnia. In pochi minuti risolve il problema.




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Si riparte, c’è molta sabbia, per fortuna umida e quindi pesante e andiamo piuttosto allegramente.

Vediamo ancora  la balise 245, poi comincia un’ampia pista, quella seguita dai camionisti. La prendiamo, convinti di seguire quella principale, balisée, ma vai e vai, di balises non ce ne sono più. La preoccupazione per gli ammortizzatori è ormai dimenticata, è insorta quella di esserci persi. Controllando la mappa, pare che si possa andare avanti. Ma ad un certo punto ecco una balise, in lontananza. Evviva! Tutte le auto hanno un braccio fuori, ad indicarla, e ci dirigiamo verso là. Orrore!! La balise subisce una metamorfosi, prima acquista due basi, poi si muove, poi compaiono due braccia, noo!! E’ un uomo! E’ una allucinazione, è il caldo che ci sta facendo andare fuori di testa, o che? Che ci fa un uomo da solo, a piedi nel deserto?!? E’ un ragazzino, nero come la pece, messo lì a far da palo (e come ci è riuscito bene!) ad un camion in panne più in là, dietro una duna. 



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Avanti, allora, ‘sta dannata balise la troveremo, prima o poi! Essendo quasi l’una, cominciano gli insabbiamenti: 1-2-3 per noi, e innumerevoli tra tutti. Sfacchinate pazzesche. Non ne possiamo più! Ad un certo punto buchiamo anche, ed è la 4^ volta. Si approfitta della sosta per un pik-nik a base di due meloni (uno piccolo e acerbo, ma va bene anche così).


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Si riparte. Verso le 4 e passa le tracce si perdono sempre più, e poi spariscono del tutto. Paura!




















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Ci consultiamo. Tutti facciamo i coraggiosi, a parole, ma gli sguardi tradiscono l’ansia. Decidiamo di tornare sui nostri passi, sperando di ritrovare una balise. Ognuno tra sé prega che non si alzi il vento. Cancellerebbe le tracce. Siamo quasi sicuri di aver la pista a destra, ma non la vediamo, e tagliare è impensabile.

Altri insabbiamenti. Sempre più demoralizzati, all’idea di tanta strada fatta per niente (120 km. orribili) e soprattutto preoccupati al pensiero di non ritrovare la pista. Però ad un certo punto riconosciamo le buche scavate per disinsabbiarci, e ritroviamo addirittura le bucce dei meloni. Le tracce ormai sono sempre più evidenti, le seguiamo, ed ecco in lontananza una balise.



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E’ la 160, plurifotografata. Ma Bruno M. chiude la giornata in bellezza, puntando direttamente su una duna, in preda certo a qualche allucinazione: chissà cosa aveva visto sulla cima!. Noi  accorriamo costernati: è quasi buio, come fare per toglierla di lì? Ma ormai conosciamo tutti i trucchi, e al secondo tentativo riusciamo a disincagliare l’auto.


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Agnese intanto, rimasta vicino alla balise, ha preparato la “soupe” di aragoste (wow!) per tutti. Che fame! Che sonno! Che stanchezza! Alle 9 siamo tutti super addormentati.