3 Opel nel Sahara - 12 - Da Arlit a Agadez

26-12-2008



Venerdì, 1° agosto 1986


Dopo aver rimediato al bidone involontario, andiamo a pagare l’assicurazione, ritiriamo i passaporti, cambiamo 1500 F.F. in banca, tentiamo invano di telefonare all’agenzia Le Point, a Ouagadougou, per confermare i voli di ritorno.

Smangiucchiamo brochettes e frutta all’hotel (solito fracasso e bevute senza fine). Facciamo benzina e partiamo per Agadez. Ci hanno detto che la strada è allagata in più punti: benissimo!! Non ci sarà più il rischio di insabbiarci!

Subito fuori Arlit, 6^ nostra foratura.

Paesaggio arido, steppa predesertica, man mano però si intravvedono cespuglietti d’erba, d’un verde così bello che stupisce, in quel deserto. Qualche pozzanghera sulla strada e inverosimili capanne di paglia sul ciglio. Ma intanto intorno le pozze d’acqua diventano sempre più vaste, non sono più pozze, ma veri e propri fiumi che sommergono il terreno circostante.



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Poi, il primo vero guado: è davvero emozionante, un fiume rosso attraversa la strada, la corrente è forte, e trasporta con sé rami e piccoli tronchi. E se si portasse via anche la macchina?!! Si fanno gli scongiuri e si tenta il guado. L’acqua arriva a metà portiera, il motore si spegne. Alfio esce dal finestrino per spingere. L’acqua tira a destra, e chi guida è istintivamente portato a deviare sulla sinistra, con il rischio di uscire dalla strada ormai invisibile e infognarsi non si sa dove. Ne usciamo in qualche modo, e con la bomboletta Arexon riusciamo ad asciugare lo spinterogeno e le candele. Poi altri due guadi, più lunghi, ma con l’acqua fortunatamente meno alta.


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Quanti ce ne saranno ancora? Siamo improvvisamente passati dagli insabbiamenti ai guadi, dalle temperature infernali del deserto al freddo e all’umidità della stagione delle piogge del sahel.

Intanto c’è sempre più verde tra questa terra rossa, il cielo si oscura sempre più ed arriviamo ad Agadez che piove a dirotto. Abbiamo tirato al massimo per arrivare in tempo a telefonare a Ouagadougou dalle Poste, ma qui ci dicono che non si può più: uno però ci farà telefonare domani da casa sua. Siamo abituati alla gentilezza e alla generosità degli algerini, e quindi non subodoriamo nulla. Ma il giorno dopo il viscido personaggio si rivela per quello che è, un ladro. Ci fa telefonare da casa sua , tra mille salamelecchi e complimenti, e poi chiede per il suo disturbo una cifra astronomica: 60.000 fr. f.c.a.. Gli ridiamo in faccia, lui scende a 40.000, allora lo portiamo con noi all’albergo dove chiediamo quanto costa una telefonata a Ouagadougou. Meno di un decimo di quanto aveva chiesto!  Gli diamo 6.100 fr. f.c.a., fin troppi!!



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 Continuiamo intanto con le formalità alla police e troviamo l’hotel Air, presso la famosa moschea, ma ci sembra caro e allora andiamo a cercare l’Atlantide che, in quanto mitica, non si trova.

Ed ecco il clou della serata: sotto un acquazzone fortissimo, con un vento polare, noi a mettere acqua nel radiatore che sta fumando e puzzando di bruciato.

Torniamo fradici e infreddoliti all’Air, che si rivela una piacevole tregua. Quasi grandiose le stanze, ampia zona doccia, buona cena.

Bruno G. e Agnese sono nell’attico, con una terrazza che s’affaccia sulla moschea. Bellissima vista. 



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.......................... continua .............................. 


3 Opel nel Sahara - 13 - Da Agadez ai baobab

31-12-2008



Sabato, 2 agosto 1986


Sveglia ancora una volta coll’affanno di far presto, il tizio ci aspetta per farci telefonare.

Intanto una macchina non parte e subito una selva di persone si affolla per dare consigli e proporsi come abili meccanici: uno vuol venderci un prodotto per il radiatore che continua a perdere, un altro vuol lavare il carburatore con la benzina. Andiamo alla Posta, dove incontriamo il tizio che ci farà telefonare. Nel frattempo gli abili meccanici ci hanno seguito, e per liberarcene acquistiamo il prodotto per il radiatore, il cui prezzo è intanto calato della metà.

Riusciamo, dopo numerosi tentativi,  a telefonare a Ouagadougou e confermiamo i voli. Poi si verifica lo spiacevole episodio che abbiamo già raccontato. E’ la prima volta nel corso del viaggio che qualcuno tenta di approfittarsi di noi, e ci rimaniamo male. Ma non c’è tempo di pensarci troppo, dobbiamo riparare la macchina. Infine ci riusciamo, ancora una volta la bomboletta Arexon ha fatto il miracolo: era semplicemente l’umidità che era penetrata nello spinterogeno.

Siamo più o meno pronti, e si parte.




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  Il nostro viaggio ormai ha perso quella sua caratteristica di avventura: da Ouagadougou, nostra meta, ci separano ormai 1300 km. di strada asfaltata, relativamente agevole, salvo allagamenti e accidenti vari, soprattutto alle auto, che ormai non ne possono più. La nostra, ad esempio, consuma l’olio come fosse benzina, ed ad ogni rifornimento dobbiamo provvedere al rimbocco! Gli insabbiamenti sono solo più un ricordo, ma in alcuni punti ora il fango invade la strada, ed è altrettanto duro uscirne. Ma bene o male si va avanti, e la scoperta dei paesi e delle genti che incontriamo rende comunque interessantissima questa parte conclusiva della nostra impresa.


  
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Il paesaggio è sempre più verde, qualche assaggio addirittura di savana, stagni d’acqua, villaggi Bororo (in paglia) e Haoussa (in fango essicato), con granai a forma di salvadanaio. Tanti, tanti bambini.


  
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Incontriamo lungo la strada un gruppo di Bororo. E’ una etnia in cui gli uomini hanno il culto della bellezza, che valorizzano truccandosi, vestendosi con abiti e copricapi multicolori, e ornandosi con gioielli e monili. E’ curioso vedere le movenze gentili, quasi feminee, di questi pezzi di ragazzi che siamo costretti a guardare dal basso, data la loro statura!


“Ogni anno, tra settembre ed ottobre, i Bororo, pastori nomadi di etnia Peul, si radunano nella regione dei pascoli salati in Niger. È l’occasione per celebrare l’annuale rito del Gerewol, una grande festa durante la quale i giovani Bororo danzano per giorni, esibendosi di fronte alle ragazze, in una sorta di competizione di ballo: alla fine infatti le ragazze sceglieranno il compagno preferito. I giovani dedicano un’intera giornata al trucco, molto elaborato ed originale, che insieme all’acconciatura e al costume serve ad accentuare quelle che sono considerate caratteristiche di bellezza presso questa etnia: altezza, lineamenti sottili, pelle chiara, fronte alta, naso allungato, mani e piedi affilati, denti bianchissimi, e ovviamente bravura nella danza. La pelle viene schiarita ricoprendo il volto con della terra rossa, il bianco dei denti viene fatto risaltare dalle labbra annerite col carbone, la fronte resa più alta dalla rasatura dei capelli, mentre in testa viene indossato una sorta di turbante adorno di una piuma di struzzo.”


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Per il pranzo, compriamo del pane in un villaggio e ci fermiamo per il pik-nik sotto un grande albero. Renza prepara il suo risottino..... da dividere, a malincuore, con l’altrettanto affamato marito, e, invece, molto volentieri, con la dignitosa mamma con sette bimbi, che ci osserva con curiosità, da sotto l’albero vicino.
   

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Quante cose per noi inusuali vedremo nel corso di quest’ultima parte del viaggio: è una scoperta dopo l’altra, la natura sempre più rigogliosa, i baobab, i termitai altissimi, i villaggi, la gente curiosa e amica (non ci capiamo, ma i sorrisi e gli sguardi superano le barriere linguistiche)!
   

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............................ continua ............................