Venerdì, 18 luglio 1986
Una è irrimediabilmente perduta: lavoriamo due ore per toglierla del tutto, e caricarla sul tetto, in attesa di farla saldare da qualche meccanico in qualche oasi.
Intanto il caldo aumenta, e con il caldo la sabbia diventa sempre più morbida e cedevole. Riusciamo ad arrivare a mezzogiorno in un tratto insidioso, dove naturalmente ci insabbieremo e faticheremo non poco per tirarci fuori. Sarà una nostra specialità quella di trovarci insabbiati nelle ore più calde. E sarà soprattutto in quelle occasioni che apprezzeremo l'acqua incredibilmente fresca - anche se piena di sabbia - delle ghirbe appese fuori.
Superiamo abbastanza agevolmente il bellissimo passo di Tin Taradjeli, e davanti a noi si apre la vista grandiosa sull'erg d'Admer, all'orizzonte.
Un cartello ci dice ora che i 200 Km. di pista che abbiamo percorso sono "très dangereus". Ce n'eravamo accorti!
Ma ecco che verso l'una si profila confusamente ai nostri occhi qualcosa che sembra un centro abitato. Abbiamo raggiunto Fort Gardel. E l'acqua del pozzo, generosamente offertaci, i colori dei panni stesi ad asciugare, l'orticello di fortuna dei Tuareg ci ritemprano, ci ridanno l'entusiasmo. Djanet ora non ci sembra più irraggiungibile.
Ci arriveremo infatti verso sera, alla calda luce del primo tramonto, dopo aver lanciato le nostre auto a tutta velocità sulla "tôle ondulée", che caratterizzava gli ultimi 100 km di pista. Sapevamo che la "tôle ondulée" poteva essere affrontata in due modi: o a passo d'uomo, oppure alla massima velocità possibile, in modo da volare sulle creste per far sì che le vibrazioni non diventassero insostenibili, dai passeggeri e dalla macchina. Per quanto riguarda noi, abbiamo temuto fortemente per le capsule dei nostri denti, che ci pareva si dovessero staccare da un momento all'altro! Per le auto.... beh, ce ne saremmo accorti in seguito!
Entriamo nell'oasi in modo incredibilmente rumoroso: le marmitte (le due che ci sono ancora) sono gravemente compromesse. E' anche scoppiata una gomma, abbiamo rotto parecchie bottiglie di plastica piene di acqua, una tanica di benzina ha perso un poco del suo liquido prezioso, avvelenando parecchio cibo.
Ma siamo incredibilmente a Djanet, la perla del Tassili.
Ci rechiamo immediatamente alla gendarmeria, a comunicare il nostro arrivo, accolti dallo stupore dei poliziotti, che, informati sulle qualità delle nostre auto dai colleghi di Illizi, non pensavano che ce l'avremmo fatta entro i due giorni previsti.
L'oasi, grande e bella, è fornita di un campeggio e di un'officina.
Nel primo laveremo noi e i nostri panni, nella seconda rattopperemo le nostre auto.
In realtà, non si tratta solo di rattoppi: dall'aria preoccupata di Alfio si intuisce che qualcosa di grave è accaduto: è caduto il motore, per terra, lì, in officina. I supporti elastici originari forse non erano adatti ai 100 all'ora sulla "tôle ondulée". Ma lavorando tutto il giorno con una calma incrollabile, con mezzi di una primitività inconsueta, questi meccanici riusciranno a sistemare il tutto come prima, anzi, meglio di prima, visto che i supporti ora saranno quelli di una Land Rover.
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