12-12-2008
Mercoledì 30 luglio 1986
Sveglia sempre alle 5,30. Oggi dobbiamo affrontare le famose Dune di Laouni. Non si sa perché abbiano questo nome, visto che di dune vere e proprie non ne vedremo. Piuttosto tanta, tantissima sabbia e altrettanto fech fech. E capiremo la triste fama che ha questo luogo vedendo le innumerevoli carcasse di auto abbandonate lungo il percorso, spogliate di tutto, scheletri inquietanti, ingoiati dalla sabbia che inesorabile ricopre tutto, anche forse il ricordo delle tragedie che qui si sono consumate. Riusciremo a passare indenni, a non insabbiarci irreparabilmente alle Dune di Laouni?
Cominciamo bene! Il primo insabbiamento è di Bruno G., in partenza dopo una lunga ricognizione a piedi: fantozziano! Ma poi fortunatamente va tutto bene, più o meno.
Ritrovati i torinesi in Land Rover, che stanno partecipando alla Torino-Gaborone. Ci hanno sentiti e presi per equipaggi in gara: andiamo come folli per non insabbiarci. Ci fermiamo, fa piacere incontrare compagni di avventura. Ci si accoglie a pacche sulle spalle, si ride ai racconti, ci si scambiano consigli. E poi noi, inutile negarlo, siamo inorgogliti dal fatto che con i nostri miseri mezzi, siamo riusciti a mantenere il ritmo di equipaggi super attrezzati impegnati in gara!
Si continua. La pista non è male, c’è sabbia, ma si supera bene. Poi, però, un guaio. A Bruno M. si guasta il motorino d’avviamento: parte solo a spinta. Ancora una volta Alfio fa la diagnosi giusta, e qualcosa provvisoriamente si ripara.. Poi sempre sabbia, ma alle Dune non ci insabbiamo.
Bel paesaggio, tipo Tin Akachaker: rocce e sabbia. Foto ai succhi Zuegg.
Ain Guezzam sembra a un tiro di schioppo, pista fattibile, ma a 15 km. buchiamo (è la 5^ volta). Terribile cambiare la gomma a 45° all’ombra sotto al sole, in una bella giornata.
Arriviamo a Ain Guezzam, dove c’è un bar. Beviamo limonate, succo di pompelmo, mangiamo del riso, beviamo a più non posso, ma non abbiamo dinari e ci fanno pagare in F.F. cambiando 1 a 1. Ma abbiamo una tale sete che accetteremmo anche di peggio.
Usiamo l’acqua del pozzo (gialla!) per bagnarci, e Alfio si fa anche una doccia “a gratis” (costerebbe 5 dinari). Abbiamo già strapagato le bevande, quindi non rubiamo niente!
Fuori, andando a prendere le taniche da riempire, troviamo un’atmosfera irreale: tra la sabbia sospesa nell’aria a velare il sole, vagano figure di donne in nero; il vento le accompagna e agita i loro abiti. Più in là, corvacci neri posano a terra le loro grandi ali, capre belano da lontano (o da vicino?). Quanto è lontano il mondo di qua? 3000 km.? 3 settimane? o un infinito spazio, un infinito tempo?
In questa specie di paese (con intorno, tutte le tende chiare dei profughi) cerchiamo qualcuno per riparare le gomme e il motorino d’avviamento di Bruno M.. Troviamo una specie di meccanico, dove un ragazzino di sì e no 10 anni si butta sotto la marmitta ma non combina granchè. Deve arrivare lo chef.
Folla incredibile di bambini che chiedono, e noi, memori dei giusti rimproveri degli adulti, non diamo né soldi né bonbon né kalam (biro), per non abituarli all’elemosina. Ma i medicinali non si possono rifiutare, e così medichiamo le ferite di alcuni piccoli e disinfettiamo i loro occhi, infestati dalle mosche. Poveri bambini!! Stringe il cuore vederli affidarsi alle nostre cure.
Ci si sente colpevoli di non si sa che cosa, o di troppe cose, di fronte allo sguardo di questi bambini! Colpevoli di essere nati dove siamo nati, di non fare nulla o troppo poco per loro, di..... di.... di.......
E ti prende la tristezza di vivere in un mondo fatto così.
Ma si continua. Le gomme non riescono nemmeno a toglierle dal cerchione. Ce ne andiamo, e paghiamo con due chiavi inglesi (ufficialmente...) il lavoro fatto alla marmitta.
Passiamo dogana e police: dicono di fermarci qui per la notte, nello spiazzo. Poi arrivano delle Renault 4 di ragazzi francesi, cooperanti in Costa d’Avorio: tornano a casa dopo 2 anni. Offriamo il caffè a tutta la comitiva.
Nella notte si scatena la cagnara di un sacco di bellissimi cani, tinta miele, che han voglia di giocare.
Dormito quasi niente.
.............................. continua ................................
3 Opel nel Sahara - 10 - Dalle Dune di Laouni a Ain Guezzam
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ʿAyn Qazzām, Algeria
3 Opel nel Sahara - 11 - Da Ain Guezzam a Arlit
21-12-2008
Giovedì, 31 luglio 1986
All’alba i locali vengono a cagare e pisciare tutti nello spiazzo vicino a noi. Romantico risveglio!
Partenza alle 7 per Assamaka: 30 km. di sabbia. Ci mettiamo 20 minuti e va tutto benissimo.
Ad Assamaka dogana e police nigerine: ci fanno scaricare tutto per controllare. Dobbiamo fare un “carnet de passage” per le auto (con un noioso che vuol fare l’interprete e non capisce niente), e dopo ci laviamo al tubo d’acqua solforosa che c’è lì vicino. Ci stiamo 2 ore e mezza e fa sempre più caldo. In lontananza l’orizzonte appare tremolante di miraggi.
Bevuta di bibite fresche alla buvette: caro, paghiamo in franchi f.
Poi, partenza per Arlit: tutta pista ben balisée ( 1 balise al km.), ma poi perdiamo 5 balises (deve essere una nuova deviazione).
Bruno M. si infogna in un mare di sabbia quasi all’inizio, noi crolliamo dalle carreggiate in tempo utile per non smentirci: all’una e mezzo disinsabbiamento sotto il sole. Da morire! Quanto ci avremo lavorato! Non si sa. Gli ultimi 20 km. sono così piatti da essere angoscianti. Non c’è niente di niente. Attraversiamo con le nostre auto laghi inesistenti.
Poi, miracolosamente, un albero.
Intanto noi, con gli ammortizzatori completamente scarichi, prendiamo testate e la tole ondulée di sbieco (dove si riesce). Terribile, si deve andare a 15 km. all’ora.
Poi gli alberi aumentano un po’, ma all’orizzonte si profila minacciosa, insieme alle tetre miniere di uranio, una tempesta di sabbia. E’ tutto nero.
Di corsa, di corsa, ci aspetta il goudron. Ma ecco che dopo le miniere si scatenano vento, pioggia, acqua rossa come la terra: non si vede più niente, solo rosso. La strada, in città, è un pantano rosso, misere costruzioni ai lati, rosse anche loro, con gente fuori che vende qualcosa: sigarette, biscotti, brochettes, carne arrostita.
Andiamo all’Hotel, dove beviamo coca cola a volontà e mangiamo brochettes. Una allucinante musica da discoteca ammorba l’aria. E così dal mondo del silenzio di In Guezzam siamo nel fracasso di Arlit, dal mondo del vento asciutto a quello della pioggia, dal giallo della sabbia al rosso della terra, dalle donne avvolte nel nero a quelle multicolori: è un’aggressione continua, acustica e visiva.
E intanto piove, e tira vento. Spuntano i keyway, che solo poche ore prima sembravano un’assurdità.
Alla police ci prendono i passaporti, alla dogana ci chiedono se abbiamo fatto le formalità ad Assamaka, poi, la solita bagarre: corri di qua, corri di là, a fare l’assicurazione per l’auto (ma ce la daranno domani perché mancano 10 minuti all’ora di chiusura: 18,30), a cambiare alla banca (ma non abbiamo i passaporti), cerca il gommista (quello ci serve sempre), cerca il mécanicien (specialità di Bruno M.), sempre sotto la pioggia e con un nugolo di ragazzi che vendono croci, bracciali, anelli, spade e ti tolgono il fiato. Concludiamo parecchi baratti con loro, sono belli questi prodotti dell’artigianato locale, e loro sono attirati dagli oggetti che abbiamo, borracce, ventilatorini a pile, taniche di plastica, ecc.. Vorrebbero persino le tavole di truciolare che abbiamo sulle macchine (i nostri letti), ma quelle ci servono ancora. Facciamo persino involontariamente un bidone ad un poveretto che, in cambio di uno pneumatico, ci dà una bellissima lancia tuareg. Il giorno dopo, al mattino presto, ce lo ritroviamo davanti all’albergo, seduto sulla gomma, che ci aspetta: non c’eravamo accorti che la gomma aveva le tele interne distrutte, e quindi era inutilizzabile. Rimediamo con “un petit peu d’argent”, con qualche altra baracca, e con le nostre scuse.
L’albergo è bruttino, ma caro, scarafaggioso e tetro. Andiamo in cerca di un ristorante, ne troviamo poi uno, dove ci fanno aspettare due ore (sono andati a comprare le cose da cucinare) e, seppure forse in buona fede, ci turlupinano coi piselli a 500 franchi c.f.a.
Poi finalmente ce ne andiamo a letto (dopo una doccia fatta nell’unica agibile), dopo aver tentato di parcheggiare le auto davanti alla police per sottrarci all’avidità del custode che chiede 12.000 lire per guardarle (dobbiamo risparmiare, i soldi se ne vanno come niente). Ma la police non ci sta e le rimettiamo sotto all’hotel.
......................... continua ..........................
Giovedì, 31 luglio 1986
All’alba i locali vengono a cagare e pisciare tutti nello spiazzo vicino a noi. Romantico risveglio!
Partenza alle 7 per Assamaka: 30 km. di sabbia. Ci mettiamo 20 minuti e va tutto benissimo.
Ad Assamaka dogana e police nigerine: ci fanno scaricare tutto per controllare. Dobbiamo fare un “carnet de passage” per le auto (con un noioso che vuol fare l’interprete e non capisce niente), e dopo ci laviamo al tubo d’acqua solforosa che c’è lì vicino. Ci stiamo 2 ore e mezza e fa sempre più caldo. In lontananza l’orizzonte appare tremolante di miraggi.
Bevuta di bibite fresche alla buvette: caro, paghiamo in franchi f.
Poi, partenza per Arlit: tutta pista ben balisée ( 1 balise al km.), ma poi perdiamo 5 balises (deve essere una nuova deviazione).
Bruno M. si infogna in un mare di sabbia quasi all’inizio, noi crolliamo dalle carreggiate in tempo utile per non smentirci: all’una e mezzo disinsabbiamento sotto il sole. Da morire! Quanto ci avremo lavorato! Non si sa. Gli ultimi 20 km. sono così piatti da essere angoscianti. Non c’è niente di niente. Attraversiamo con le nostre auto laghi inesistenti.
Poi, miracolosamente, un albero.
Intanto noi, con gli ammortizzatori completamente scarichi, prendiamo testate e la tole ondulée di sbieco (dove si riesce). Terribile, si deve andare a 15 km. all’ora.
Poi gli alberi aumentano un po’, ma all’orizzonte si profila minacciosa, insieme alle tetre miniere di uranio, una tempesta di sabbia. E’ tutto nero.
Di corsa, di corsa, ci aspetta il goudron. Ma ecco che dopo le miniere si scatenano vento, pioggia, acqua rossa come la terra: non si vede più niente, solo rosso. La strada, in città, è un pantano rosso, misere costruzioni ai lati, rosse anche loro, con gente fuori che vende qualcosa: sigarette, biscotti, brochettes, carne arrostita.
Andiamo all’Hotel, dove beviamo coca cola a volontà e mangiamo brochettes. Una allucinante musica da discoteca ammorba l’aria. E così dal mondo del silenzio di In Guezzam siamo nel fracasso di Arlit, dal mondo del vento asciutto a quello della pioggia, dal giallo della sabbia al rosso della terra, dalle donne avvolte nel nero a quelle multicolori: è un’aggressione continua, acustica e visiva.
E intanto piove, e tira vento. Spuntano i keyway, che solo poche ore prima sembravano un’assurdità.
Alla police ci prendono i passaporti, alla dogana ci chiedono se abbiamo fatto le formalità ad Assamaka, poi, la solita bagarre: corri di qua, corri di là, a fare l’assicurazione per l’auto (ma ce la daranno domani perché mancano 10 minuti all’ora di chiusura: 18,30), a cambiare alla banca (ma non abbiamo i passaporti), cerca il gommista (quello ci serve sempre), cerca il mécanicien (specialità di Bruno M.), sempre sotto la pioggia e con un nugolo di ragazzi che vendono croci, bracciali, anelli, spade e ti tolgono il fiato. Concludiamo parecchi baratti con loro, sono belli questi prodotti dell’artigianato locale, e loro sono attirati dagli oggetti che abbiamo, borracce, ventilatorini a pile, taniche di plastica, ecc.. Vorrebbero persino le tavole di truciolare che abbiamo sulle macchine (i nostri letti), ma quelle ci servono ancora. Facciamo persino involontariamente un bidone ad un poveretto che, in cambio di uno pneumatico, ci dà una bellissima lancia tuareg. Il giorno dopo, al mattino presto, ce lo ritroviamo davanti all’albergo, seduto sulla gomma, che ci aspetta: non c’eravamo accorti che la gomma aveva le tele interne distrutte, e quindi era inutilizzabile. Rimediamo con “un petit peu d’argent”, con qualche altra baracca, e con le nostre scuse.
L’albergo è bruttino, ma caro, scarafaggioso e tetro. Andiamo in cerca di un ristorante, ne troviamo poi uno, dove ci fanno aspettare due ore (sono andati a comprare le cose da cucinare) e, seppure forse in buona fede, ci turlupinano coi piselli a 500 franchi c.f.a.
Poi finalmente ce ne andiamo a letto (dopo una doccia fatta nell’unica agibile), dopo aver tentato di parcheggiare le auto davanti alla police per sottrarci all’avidità del custode che chiede 12.000 lire per guardarle (dobbiamo risparmiare, i soldi se ne vanno come niente). Ma la police non ci sta e le rimettiamo sotto all’hotel.
......................... continua ..........................
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