Martedì, 22 luglio 1986
Il giorno dopo, in fila all'ombra di una palma, aspettiamo che le macchine siano tutte e definitivamente - si spera - riparate.
Useremo, per tappare le minuscole falle del radiatore, del piment, una sorta di spezia locale (peperoncino, in pratica), dai molteplici usi, oltre a quello alimentare. I locali ci dicono che ci sarà utile ed in effetti, aggiungendolo regolarmente all'acqua del radiatore per tutto il percorso, riusciremo a tamponare le falle. Chi di noi era ancora in vena di far battute, ha detto che tutto il male non vien per nuocere: avremmo potuto usare l’acqua bollente del radiatore per fare il risotto!
Partiamo da Djanet con un totale di 360 litri di carburante, circa 200 litri di acqua e l'autorizzazione a percorrere la pista in 4 giorni. E ripercorriamo la strada per Fort Gardel, rompiamo ancora una marmitta e ci accampiamo al tramonto in mezzo al deserto, in compagnia di migliaia di stelle.
Mercoledì, 23 luglio 1986
Siamo molto eccitati, perchè comincia il percorso più insidioso, non solo perchè attraverseremo le grandi sabbie, ma perchè ci sarà effettivamente il pericolo di perderci.
Da Tamanrasset ci separano più di 500 km., senza pozzi di acqua potabile, senza centri abitati tranne l'unica oasi di Ideles fra 200 km., senza niente se non una segnaletica molto approssimativa costituita da mucchietti di pietre. Cominciamo a trovare in questa zona il temutissimo fech-fech, sabbia particolarmente soffice, impalpabile e polverosa, in cui si affonda inesorabilmente e dalla cui morsa è estremamente difficile uscire. Deve essere individuata, dal suo colore più chiaro, con sufficiente anticipo, nella pia speranza di riuscire ad evitarla.
La pista è larghissima, a volte anche più di 2 o 3 km., è quindi facilissimo deviare senza rendersene conto e seguire le tracce dei camion che vanno a fare le rilevazioni petrolifere, e che conducono al nulla. In queste condizioni è essenziale la bussola.
Guai, ad esempio, se dopo 92 km. non troveremo un famoso cippo con la freccia per Tam: ci perderemmo di certo.
Il cippo lo troviamo, stiamo seguendo una rotta perfetta. Ci dice: Tam 450 km. a sinistra.
Ma il tempo passa, ed è quasi l'una: insabbiamenti in agguato. Il primo è per l'una esatta; il secondo, mezz'ora più tardi, blocca due auto su una altura insabbiata. Trainandoci a vicenda, rompendo un cavo di traino, spingendoci, scavando la sabbia da sotto le ruote, spostando le strisce di tartan, alla fine, stravolti dal caldo e dalla fatica, ci liberiamo da questa morsa di sabbia che assiste impassibile alle nostre traversie.
E riprendiamo il cammino, sotto il sole implacabile, verso Serenout: lì sappiamo che non c'è altro che un forte abbandonato della legione straniera e un pozzo; l'acqua, ricca di natron, non è potabile, ma c'è un secchio legato con una corda e ci prendiamo a secchiate per due ore d'orologio.
Ancora una volta capiamo davvero che cosa sia l'acqua, che cosa significhi un pozzo, e perchè essi siano quasi sacri per la gente del deserto. E lo capiamo senza parole, senza ragionamenti: sulla nostra pelle, nel nostro corpo disidratato che ritrova la sua acqua e le sue forze.
Ed un'altra notte in mezzo al deserto conclude la giornata. Ci fermiamo ai piedi di una "garà", nera altura di origine vulcanica a forma di cono.
Siamo nel letto disseccato di uno di quei torrenti che quando piove forte e a lungo - capiterà qualche volta, d'inverno - si gonfiano di acque limacciose e turbinose. Ma qui da qualche anno questo letto disseccato, questo oued, non deve aver visto grandi piogge: è tutto un rigoglio di tamerici impolverate dalla sabbia che il vento sbatte loro contro incessantemente. Cominciamo anche la terapia contro la malaria, che potrebbe assalirci dal Niger in poi, ingoiando la prima pastiglia di Metakelfin.
La notte, stranamente, qualcuno di noi non dorme, come se sentisse dei passi, delle voci, come se ci fosse qualcuno a spiarci: è il vento fra le foglie, sono le tamerici che implorano una tregua, o è il Metakelfin che produce strani effetti?
Sapremo in seguito che i Tuareg, questo popolo così ricco di fantasia, così amante dell'invenzione poetica in ogni sua forma, ritiene quel posto abitato da spiriti dispettosi: nessuno di loro vi trascorrerebbe mai la notte. Accettiamo senz'altro questa versione per la nostra strana insonnia: tra tutte quelle possibili è certo la più bella.
.......................... continua .........................
Partiamo da Djanet con un totale di 360 litri di carburante, circa 200 litri di acqua e l'autorizzazione a percorrere la pista in 4 giorni. E ripercorriamo la strada per Fort Gardel, rompiamo ancora una marmitta e ci accampiamo al tramonto in mezzo al deserto, in compagnia di migliaia di stelle.
Mercoledì, 23 luglio 1986
Siamo molto eccitati, perchè comincia il percorso più insidioso, non solo perchè attraverseremo le grandi sabbie, ma perchè ci sarà effettivamente il pericolo di perderci.
Da Tamanrasset ci separano più di 500 km., senza pozzi di acqua potabile, senza centri abitati tranne l'unica oasi di Ideles fra 200 km., senza niente se non una segnaletica molto approssimativa costituita da mucchietti di pietre. Cominciamo a trovare in questa zona il temutissimo fech-fech, sabbia particolarmente soffice, impalpabile e polverosa, in cui si affonda inesorabilmente e dalla cui morsa è estremamente difficile uscire. Deve essere individuata, dal suo colore più chiaro, con sufficiente anticipo, nella pia speranza di riuscire ad evitarla.
La pista è larghissima, a volte anche più di 2 o 3 km., è quindi facilissimo deviare senza rendersene conto e seguire le tracce dei camion che vanno a fare le rilevazioni petrolifere, e che conducono al nulla. In queste condizioni è essenziale la bussola.
Guai, ad esempio, se dopo 92 km. non troveremo un famoso cippo con la freccia per Tam: ci perderemmo di certo.
Il cippo lo troviamo, stiamo seguendo una rotta perfetta. Ci dice: Tam 450 km. a sinistra.
Ma il tempo passa, ed è quasi l'una: insabbiamenti in agguato. Il primo è per l'una esatta; il secondo, mezz'ora più tardi, blocca due auto su una altura insabbiata. Trainandoci a vicenda, rompendo un cavo di traino, spingendoci, scavando la sabbia da sotto le ruote, spostando le strisce di tartan, alla fine, stravolti dal caldo e dalla fatica, ci liberiamo da questa morsa di sabbia che assiste impassibile alle nostre traversie.
E riprendiamo il cammino, sotto il sole implacabile, verso Serenout: lì sappiamo che non c'è altro che un forte abbandonato della legione straniera e un pozzo; l'acqua, ricca di natron, non è potabile, ma c'è un secchio legato con una corda e ci prendiamo a secchiate per due ore d'orologio.
Ancora una volta capiamo davvero che cosa sia l'acqua, che cosa significhi un pozzo, e perchè essi siano quasi sacri per la gente del deserto. E lo capiamo senza parole, senza ragionamenti: sulla nostra pelle, nel nostro corpo disidratato che ritrova la sua acqua e le sue forze.
Ed un'altra notte in mezzo al deserto conclude la giornata. Ci fermiamo ai piedi di una "garà", nera altura di origine vulcanica a forma di cono.
Siamo nel letto disseccato di uno di quei torrenti che quando piove forte e a lungo - capiterà qualche volta, d'inverno - si gonfiano di acque limacciose e turbinose. Ma qui da qualche anno questo letto disseccato, questo oued, non deve aver visto grandi piogge: è tutto un rigoglio di tamerici impolverate dalla sabbia che il vento sbatte loro contro incessantemente. Cominciamo anche la terapia contro la malaria, che potrebbe assalirci dal Niger in poi, ingoiando la prima pastiglia di Metakelfin.
La notte, stranamente, qualcuno di noi non dorme, come se sentisse dei passi, delle voci, come se ci fosse qualcuno a spiarci: è il vento fra le foglie, sono le tamerici che implorano una tregua, o è il Metakelfin che produce strani effetti?
Sapremo in seguito che i Tuareg, questo popolo così ricco di fantasia, così amante dell'invenzione poetica in ogni sua forma, ritiene quel posto abitato da spiriti dispettosi: nessuno di loro vi trascorrerebbe mai la notte. Accettiamo senz'altro questa versione per la nostra strana insonnia: tra tutte quelle possibili è certo la più bella.
.......................... continua .........................
Belleeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee wow che foto stupende, domani mi guardo un' altro viaggio
RispondiEliminaOra vado a letto,ma prima passo a votarti
notteeeeeeeeeeeeee
Grazie, Greis! Tutte quelle eeeeeeeeeee mi fanno capire che sono riuscito a trasmetterti, anche se solo in modo virtuale e in minima parte, le straordinarie sensazioni - totali - che si vivono nel deserto. Perchè totali? Perchè chi ama il deserto viene coinvolto in tutto il suo essere, nel corpo e nello spirito! Ti potrei parlare a lungo, e mi piacerebbe farlo! Quando riesco a comunicare cosa è il deserto, sono felice!
EliminaUn caro saluto
Alfio